Torre Imperiale (XII-XIII sec.)
“Maccagno imperiale, corte regale, terra per sé”. Questo è l’ampolloso, ma corretto titolo per descrivere una storia minore, ma per certi versi eccezionale, quella che ha contraddistinto la località di Maccagno Inferiore per quasi 600 anni. Iniziamo dall’inquadramento geografico. Maccagno (oggi nel comune di Maccagno con Pino e Veddasca) è l’unico borgo della sponda orientale del lago Maggiore a essere distinto in due paesi dal corso del fiume Giona e da un leggero dislivello che ne ha contraddistinto il nome: Maccagno Superiore, a nord del fiume e allo sbocco della Val Veddasca; Maccagno Inferiore, a sud, attorno a un golfo riparato.
Questa separazione geografica ha favorito nei secoli destini diversi. Maccagno Superiore, infatti, ha seguito in tutto la storia di tutti i comuni del lago Maggiore, della sponda orientale e di parte di quella occidentale, finendo nell’orbita politica e amministrativa di Milano e, tramite questa, dei diversi dominatori che si sono succeduti: i francesi, gli spagnoli, gli austriaci, ecc. Forse per la posizione defilata, invece, Maccagno Inferiore divenne oggetto d’interesse da parte della potente famiglia di origine milanese dei de Mandello, o Mandelli, che nel 1210 circa (per altri nel primo quarto del medesimo secolo), non riuscendo a imporre una propria signoria sul comune di Cannobio, ottennero il piccolissimo feudo di Maccagno Inferiore da Ottone IV, imperatore del Sacro Romano Impero, che ancora vantava la dipendenza diretta di alcuni territori (cosiddette ‘corti regie’) attorno al Verbano, eredità della frantumazione dell’impero carolingio. Tra queste Cannobio, da cui Maccagno Inferiore dipendeva, fatto che spiega l’estendersi qui degli interessi della famiglia Mandelli attestata a Cannobio.
Il piccolo borgo di Maccagno Inferiore (e un fazzoletto di terra di pertinenza veramente ridotto che comprendeva anche l’abitato di Monte Venero, per secoli luogo dei pascoli estivi) venne così elevato a “feudo imperiale”, ossia feudo legato da un rapporto privilegiato con l’imperatore mediato esclusivamente dal feudatario e dal vicario imperiale in Italia.
In questo modo, Maccagno Inferiore divenne «terra per sé», un vero e proprio stato autonomo all’interno dei domini circostanti, indipendente dal fluire della storia e saldo finché rimase saldo, nelle sue mutevoli varianti, l’impero di riferimento e guadagnò, oltre che relativa pace, peculiari condizioni d’autonomia fiscale, giurisdizionale ed amministrativa, un mercato (concesso da Carlo V nel 1536) e il diritto a batter moneta in apposita zecca.
Non fu facile mantenersi in una tale condizione di privilegi. Milano, ad esempio, tentò diverse volte di avocare a sé i diritti sul feudo di Maccagno Inferiore, quantomeno quelli fiscali, già dal 1279; nel 1679 il barone viennese Walderode si aggiudicava l’asta per la devoluzione del feudo, morto senza eredi l’ultimo Mandelli, ma un ramo cadetto della famiglia riuscì a mantenere nelle sue mani il fazzoletto di terra che obbediva, in virtù di accordi e scritture di quasi cinquecento anni prima, all’imperatore. Solo nel 1692 il feudo passò alla famiglia Borromeo; tuttavia, nel volgere di poco più di un secolo, nessuno della nobile casata poté di fronte al sorgente astro napoleonico che, travolgendo secolari istituzioni, non esitò di fronte al piccolo e pur glorioso feudo imperiale di Maccagno Inferiore. «Non c’è alcun dubbio», sentenziò il generale Bonaparte nel 1796: Maccagno andava riunita alla Repubblica Cisalpina.
Si avviarono le pratiche per l’incameramento «in perpetuo» del feudo, suggellato con apposita cerimonia, innalzamento dell’albero della Libertà ed esposizione del vessillo repubblicano sulla piazza a lago. Era il 22 dicembre 1797. Dopo quasi seicento anni, Maccagno imperiale rientrava nel perimetro geografico dell’Italia e nei destini della sua storia.
Dopo l’Unità d’Italia finì nell’orbita amministrativa della “gemella” Maccagno Superiore, prescelta come sede comunale anche in virtù di un territorio di pertinenza geograficamente più vasto.
Numerose furono le difficoltà del piccolo borgo, e della famiglia che ne reggeva le sorti, per far fronte alle pressioni dei vicini, della potente Milano, della pressante Svizzera e dei vari dominatori che ressero le sorti dell’Italia sino a Napoleone.
Per resistere a tali pressioni, i Mandelli non esitarono a ricorrere a falsi privilegi per affondare l’origine del feudo imperiale il più addietro possibile nel tempo e, soprattutto, per legarlo alle figure dei più potenti e importanti imperatori del Sacro Romano Impero.
Anzi. Agli inizi del Seicento, i Mandelli cominciarono a far circolare una leggenda così abilmente orchestrata che l’innocente “bugia” riuscì a sopravvivere per lunghi secoli. La diceria raccontava del come e del quando la famiglia avesse ottenuto l’investitura del feudo; non attorno al 1210, ma direttamente dalle mani di Ottone I di Sassonia, nel 962: di ritorno dalla campagna militare contro il riottoso Berengario II re d’Italia, Ottone sarebbe naufragato colla sua scorta di fronte alla rada di Maccagno Inferiore, salvato e soccorso dai suoi abitanti. In segno di gratitudine, sarebbe derivata la solenne investitura. Per conferire la maggiore veridicità possibile alla vicenda, i Mandelli non esitarono a ingaggiare alcuni contraffattori che si cimentarono in falsi privilegi imperiali (l’uno attribuito a Federico II di Svevia) per retrocedere al tempo della leggenda l’origine del mero e misto imperio su Maccagno. Quei falsi diplomi sopravvissero nei secoli e solo attorno al 1970 furono smascherati grazie a accurate analisi storiche; ma la leggenda, oramai, aveva alimentato altra leggenda: e così, ancora oggi, a Maccagno Inferiore si celebra, dal 1962 (in occasione della presunta ricorrenza addirittura millenaria) lo “sbarco dell’imperatore” (Ottone I), con partecipata sfilata in maschera.
In luogo di impossibili guerre, furono le battaglie di scartoffie a mantenere al sicuro nel corso dei secoli il feudo maccagnese contro le mire di Milano e l’invidia dei domini confinanti.