Giacomo III Mandelli (1618-1645) ducato del 1622
Per via dei suoi privilegi, Maccagno Inferiore divenne l’unico paese del lago Maggiore a ospitare un’officina monetaria con diritto imperiale di zecca. L’ottimo affare fu condotto da Giacomo III Mandelli nel 1622. Questi ottenne dall’Imperatore Ferdinando II d’Asburgo il diritto di battere moneta “bona, justa et sincera”: in poche parole doveva realizzare monete che avessero una precisa quantità di metalli preziosi.
L’officina di Maccagno Inferiore fu creata all’interno di un edificio ancora oggi affacciato sul lago, nell’attuale Piazza Roma, all’epoca di proprietà del Conte Giacomo III Mandelli: un caseggiato apparentemente semplice, articolato in sole due stanzette, ma ricco di storia perché da qui uscirono “ducatoni”, “talleri”, “lire” e “testoni”. Girandovi dietro, per un passaggio stretto che ben documenta l’incessante lavoro nei secoli per strappare alla ripida montagna spazi vitali all’economia e alla società, si raggiunge ancora l’alveo della roggia che alimentava i magli interni alla zecca, oggi scomparsi. Rimane anche una chiusa per la regolazione dei flussi, riutilizzata nell’Ottocento per altre attività.
Il privilegio di battere moneta “bona, justa et sincera” (che rispondesse, come detto, a un preciso contenuto di metalli preziosi) non fu, naturalmente, che rispettato solo in parte.
Quasi subito, infatti, si iniziò a creare contraffazioni di monete di ogni genere, dai ducati d’Olanda a quelli tedeschi, dai dicken di Lucerna ai sesini milanesi, con un contenuto di metallo prezioso leggermente inferiore alla norma, permettendo allo zecchiere, che aveva in appalto l’officina, e persino agli stessi Mandelli, consenzienti, di intascare la differenza, secondo una consuetudine non molto rara nel Seicento e ben denunciata dai grandi Stati che subivano direttamente gli effetti della circolazione dei falsi monetari. Per aggirare ogni sospetto di contraffazione legato al conio “ufficiale” di Maccagno, fu attivata per qualche tempo una zecca al sicuro in mezzo la lago, sugli isolotti dei Castelli di Cannero. Dalla zecca maccagnese non furono emesse solo monete contraffatte; già intorno al 1625, infatti, si era iniziato a battere monete preziose che sarebbero dovute circolare all’interno dello Stato di Milano. L’autorizzazione, però, non venne mai rilasciata e l’onesta pratica nei confronti dello Stato di Milano fu interrotta, lasciando in eredità alcuni bellissimi esemplari celebrativi che riportano il ritratto di Giacomo III e il nome inciso per esteso. Data la ridotta estensione del feudo imperiale di Maccagno Inferiore, e la sua limitata importanza nel panorama economico lombardo, la concessione imperiale a batter moneta appare, oggi, come un gesto di valore simbolico, privo di grandi risvolti finanziari e commerciali.
La produzione monetaria che si realizzò a Maccagno fu probabilmente discontinua, legata alla situazione economica dei luoghi e delle regioni vicine. La progressiva diminuzione degli scambi commerciali non favorì la produzione di coni destinati a circolare al di fuori del ristretto territorio. Del resto, la zecca rimase attiva solo pochi decenni, sino al 1668. Tuttavia, gli effetti reali sull’economia locale non furono trascurabili; la circolazione di queste monete, infatti, era tanto importante anche perché trovava un punto di appoggio nello stesso mercato di Maccagno, autorizzato insieme a quello di Luino dall’Imperatore Carlo V nel 1536 e, frequentato da ricchi mercanti svizzeri ed italiani, principale fonte di benessere del piccolo feudo.
Gli esemplari che oggi sopravvivono sono una testimonianza diretta dell’attività non irrilevante di una piccola officina che causò per quasi cinquant’anni qualche serio problema alle economie dei grandi Stati d’Europa. Le “monete di Maccagno”, oggetto di una accurata ricognizione storica nel 2003 da parte di Luca Gianazza, patrocinata dal Comune di Maccagno con Pino e Veddasca, sono oggi ricercate dei collezionisti.